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Santi del 27 Aprile

Il mio Santo > I Santi di Aprile

*Beato Adelelmo (Adelermo, Adelino) di Le Mans (27 Aprile)

Visse nel sec. XII. Discepolo e amico diletto dell'eremita Alberto nella regione di Le Mans, lo lasciò per seguire San Bernardo di Tiron nell'isola di Chausey.
Tornato, per i disagi del clima, presso Alberto che l'abbandono dell'amico aveva ridotto alla disperazione, ne confortò la vecchiezza.
Alla morte di lui, con lo aiuto del conte di Beaumont, fondò nel bosco di Charnie un monastero per uomini, di breve durata, e nel 1109 il monastero per donne di Etival-enCharnie, che fu arricchito da una donazione nel 1120 e prosperò sotto la guida di Godehild (sorella o figlia del conte di Beaumont.
Non sembra che abbia preso i voti, come Roberto d'Arbrissel e Giraldo di Sales. Morì il 27 aprile 1152.
Il suo culto restò puramente locale.
Nella diocesi di Le Mans ebbe un Ufficio proprio fino a epoca recente; gli furono erette statue, una delle quali tuttora esistente a Etival.

(Autore: Alfonso M. Zimmermann - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Adelelmo di Le Mans, pregate per noi.

*Beata Caterina da Montenegro (Osanna di Cattaro) - Domenicana (27 Aprile)
Kebeza, 1493 - Kotor, 1565
Nata nel Montenegro da genitori ortodossi, trascorse l'adolescenza pascolando il gregge della sua famiglia. Fattasi cattolica entrò nel Terz'Ordine domenicano, visse da reclusa per 51 anni offrendo la sua vita per la salvezza del mondo. Morì a Cattaro (Kotor) nella cui chiesa di S. Maria è venerato il corpo.
Martirologio Romano: A Cattaro nel Montenegro, beata Caterina, vergine, che, battezzata nella Chiesa ortodossa, entrò nell’Ordine della Penitenza di San Domenico assumendo il nome di Osanna; visse in clausura per cinquantuno anni immersa nella divina contemplazione e dedita alla preghiera di intercessione per il popolo cristiano durante l’invasione turca.
La vita di questa Beata ha un incanto tutto particolare. Nata nel 1493 da umilissimi genitori ortodossi a Kebeza, in seno allo scisma greco, al battesimo le fu imposto il nome di Caterina.
Piccola pastorella, rapita dalla bellezza dei magnifici panorami del suo Montenegro, s’innamora del Creatore di tante meraviglie e, con insolito ardore, gli va chiedendo che si mostri a lei.
E là, nella solitudine dei monti, Gesù le appare prima, tenero bimbo, e poi Crocifisso, imprimendo nel suo vergine cuore un sigillo indelebile.
Collocata in seguito a Kotor come serva presso la famiglia di un Senatore, ottimo cattolico, ha modo d’istruirsi nella vera fede e di ricevere i Sacramenti.
Conosciuti i Domenicani, a ventidue anni prende una decisione eroica: rendersi reclusa per sempre, prendendo l’Abito e la Regola del Terz’Ordine di San Domenico.
Con l’Abito di Terziaria assunse anche il nome di Osanna, in memoria di un’altra illustre Terziaria, Osanna da Mantova.
E così, murata in una celletta, accanto alla chiesa di S. Paolo, retta dai Domenicani, visse nella contemplazione dei dolori di Gesù e nella completa immolazione di se stessa.
Fu anche maestra di santità a innumerevoli anime, ma soprattutto fu l’angelo tutelare di Kotor.
Morì il 27 aprile 1565.
Il suo corpo riposa nella chiesa di Santa Maria a Kotor.
Papa Pio XI il 21 dicembre 1927 ha ratificato il culto, invocandone l’intercessione per l’unità dei cristiani.

(Autore: Franco Mariani - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Caterina da Montenegro, pregate per noi.

*Santa Damaride - Vergine e Martire (27 Aprile)
Il corpo Santo di Damaride, giunse dalle catacombe nell’800 e fu inizialmente custodito nella "Cappella della Santa" presso la Chiesa di S. Maria Assunta in San Sebastiano. Oggi invece l’insigne reliquia è presso la cripta della Chiesa Matrice di Palo del Colle (BA). Non va confusa con l'omonima Santa, presunta moglie di San Dionigi l'Areopagita.
Con il termine di "corpo santo" si identificano quelle reliquie ossee che, proveniente dalle catacombe romane e non solo, furono traslate nell’Urbe e nell’Orbe, in un periodo comprese tra la fine del XVI secolo e la seconda metà del XIX secolo.
Perché "corpo santo" e non "santo corpo"? La differente posizione dell’attributo (santo) rispetto
all’oggetto (corpo) determina una differenza sostanziale: possiamo definirla una certezza d’identità del soggetto.
Il "corpo santo" è un oggetto in quanto tale, un corpo di un defunto nelle catacombe, che solo in un secondo tempo ha una valenza sacrale.
Ma come riconoscere un "corpo santo" nelle catacombe? Tutte le sepolture erano di "martiri"?È un discorso molto grande che lasciamo ad altri studi, qui vogliamo solo rifarci a Marcantonio Boldetti (famoso custode pontificio e incaricato per l’estrazione dei corpi dalle catacombe), il quale dava per certe le spoglie scoperte attribuendole ad un martire dei primi tre secoli.
La simbologia che definiva la sepoltura di un martire era: la palma, il XP, la scritta B.M. ("Beato Martire"), e poi nel suo interno un balsamario con "il sangue". Spesso la lapide riportava il nome del "martire", in caso contrario dopo l’estrazione veniva attributo un nome e i criteri di rinomina dei "corpi santi" è molto vario (ad esempio il nome del…. vescovo diocesano o pontefice in carica; titolare della Chiesa che accoglie il corpo; della catacomba da cui è estratto; eccetera).
Ciò che importa, oggi come oggi, è la valenza simbolica del "corpo santo": un cristiano della Chiesa dei primi secoli (spesso dell’Urbe e quindi la comunione con la Santa Sede), un testimone verace del Vangelo, fino al dono della propria vita con il martirio.
Infine, il culto delle reliquie, derivante dalle onoranze per i defunti, è oggi raccomandato ma non imposto dalla Chiesa.
Il Concilio di Trento nella sua venticinquesima sessione lo emendò dagli eccessi e il Concilio Vaticano II così si espresse: "La Chiesa, secondo la sua tradizione, venera i Santi, le loro reliquie autentiche e le loro immagini".
Il culto dei "corpi santi" è oggi vario: in oblio e le reliquie scomparse; molto vivo o addirittura vivace essendo il "martire" patrono di qualche località.
Per quanto riguarda il corpo santo di Damaride, giunse dalle catacombe nell’800 e fu inizialmente custodito nella "Cappella della Santa" presso la Chiesa di S. Maria Assunta in San Sebastiano. Oggi invece l’insigne reliquia è presso la cripta della Chiesa Matrice di Palo del Colle (BA)

(Autore: Don Damiano Marco Grenci – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Damaride, pregate per noi

*Beato Giacomo da Bitetto - Francescano (27 Aprile)

Zara, Dalmazia, 1400 ca - 1485/90
Della vita di fra Giacomo si hanno solo alcuni flash. Nato a Zara nel 1400 circa, lo ritroviamo giovane frate francescano nel convento di San Pietro a Bari. Visse poi a Conversano e Cassano delle Murge come cuciniere, ortolano e frate cercatore. La nobile famiglia degli Acquaviva lo prese a benvolere.
Ma - giunto in età avanzata al convento di San Francesco di Bitetto - fu lui a salvare uno dei membri della potente famiglia, il conte Andrea. Questi, inseguito da sicari del re di Napoli, contro cui aveva congiurato, si era infatti rifugiato nel convento.
Per sdebitarsi gli Acquaviva fecero costruire la strada che collega il luogo di preghiera con la città. Il frate, che aveva un'intensa vita contemplativa, si prodigò nella carità per i poveri: sia nella peste del 1483, sia nelle numerose siccità. Morto tra il 1485 e il 1490, il corpo vent'anni dopo fu trovato incorrotto. È Beato dal 1700. La festa porta a Bitetto molti emigrati. (Avvenire)

Martirologio Romano: A Bitetto in Puglia, Beato Giacomo Varinguer da Zara, religioso dell’Ordine dei Minori.
Nato nel 1400 circa a Zara, capitale della Dalmazia da Leonardo e da Beatrice Varinguez. Venuto
a Bari all'età di 18-20 anni dimorò nel convento di S. Pietro.
A Bitetto arrivò negli anni 1438-39.
Dimorò in Conversano e Cassano delle Murge per poi ritornare di nuovo a Bitetto.
Si narra che mentre il Beato Giacomo se ne stava in orazione dinanzi alla cappella della Vergine, una lepre, inseguita da levrieri e cacciatori corre a ripararsi sotto il suo abito, scampa il pericolo ed è dal Beato Giacomo presa in braccio, accarezzata e benedetta.
"Fai una via che dalla città porta al convento" disse il Beato Giacomo al Duca D'Atri e in una notte la strada fu bella e fatta.
Prima di morire il Beato Giacomo piantò in terra, nel piccolo giardino di agrumeti, il suo bastone di legno di ginestra, che crebbe in albero maestoso.
Dopo due secoli seccò, ma se ne conserva ancora nello stesso sito il tronco.
Morì fra il 1485/90 il 27 aprile.
Il Beato Giacomo è conosciuto e venerato soprattutto dagli abitanti dei paesi di Toritto, Grumo Appula, Bitritto e la stessa Bitetto ed è assai noto fra gli emigrati, soprattutto in America del Nord, partiti assai numerosi per tutto il Novecento da questi paesi.  

(Autore: Leonardo Acquaviva - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giacomo da Bitetto, pregate per noi.

*San Giovanni di Catari - Abate in Bitinia (27 Aprile)

Irenopolis, Decapoli isaurica, 770/775 - Costantinopoli, 27 aprile 835

Martirologio Romano: Sull’isola di Afusia in Propontide, nel mare Egeo, San Giovanni, egúmeno, che lottò molto sotto l’imperatore Leone l’Armeno in favore del culto delle sacre immagini.
Nacque a Irenopolis, nella Decapoli isaurica, verso il 770-775. All’età di nove anni abbracciò la vita monastica.
Il suo maestro si affezionò a lui e lo condusse con sé al secondo concilio di Nicea (787) e poi ancora quando partì per Costantinopoli dove divenne archimandrita del monastero detto del Dalmata e lo fece ordinare sacerdote.
Nella Quaresima dell’805, l’imperatore Niceforo (802-11) inviò Giovanni a governare il monastero dei Catari, in Bitinia, e nell’estate dell'808, il suo convento si separò da san Teodoro Studita, probabilmente perché Giovanni aveva accettato il ristabilimento del sacerdote Giuseppe, resosi celebre nella controversia «mechiana».
Era egumeno da poco più di dieci anni allorché la persecuzione iconoclasta, scatenata da Leone l’Armeno (813-20), lo tolse dal suo convento (aprile - maggio 815). Tradotto a Costantinopoli davanti all’imperatore, fu flagellato, poi relegato nel su metochion (residenza urbana o villa di campagna) dove rimase tre mesi; venne infine esiliato ed incarcerato nella fortezza di Pentadactylos (Bes-Parnak), nella regione di Lampe, presso Apamea.
Durante questa reclusione, si unì, insieme ad altri egumeni iconoduli, agli appelli rivolti a Roma, nell'816 e nell’817, da san Teodoro Studila.
Dopo dieci mesi di detenzione, dovette di nuovo comparire, nella capitale (verso aprile 817), di fronte all’imperatore e al patriarca usurpatore Teodoto.
Resistette magnificamente e venne ancora esiliato (giugno 819) nel tema dei Buccellari, al forte di Criautoros.
All’inizio del regno di Michele il Balbo, successore di Leone, Giovanni fu liberato (dopo il 25 dicembre 820) e ritornò verso Calcedonia, ma non gli fu permesso di entrare nella capitale. Forse raggiunse il suo monastero. Sembra essersi accostato all’equivoca politica religiosa del nuovo imperatore, poiché San Teodoro Studita credette necessario rimproverorlo.
Ma quando l’imperatore Teofilo scatenò una nuova offensiva contro il culto delle immagini (dopo l’ottobre 832), Giovanni cercò di riunire intorno a sé i monaci iconofili. Perciò venne nuovamente esiliato dal patriarca Giovanni VII, il Grammatico, nell'isola di Afusia, nella Propontide (Marmara), dove morì probabilmente il 27 aprile 835.
I sinassari bizantini commemorano, al 4 febbraio, "Giovanni d’Irenopoli, uno dei santi Padri di Nicea", ma la festa propriamente detta è fissata al 27 aprile nei menologi greci che hanno, a quella data, una leggenda abbastanza ampia basata, a quanto sembra, su una Vita andata perduta.
Alla stessa data, il Martirologio Romano contiene un elogio del santo die ha bisogno di rettifica: si parla di Leone l'Isaurico invece di Leone l’Armeno; inoltre, nel fissare a Costantinopoli il luogo della morte di Giovanni, il Romano ha indotto non pochi a credere che il santo fosse stato Abate del monastero dei Catari esistente nella capitale dell’impero bizantino.

(Autore: Daniele Stiernon – Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - San Giovanni di Catari, pregate per noi.

*Beato Giuseppe Outhay Phongphumi - Catechista e Martire (27 Aprile)

Scheda del Gruppo a cui appartiene:
"Beati Martiri del Laos" - 16 dicembre (celebrazione di gruppo)
Kham Koem, Thailandia, 1933 - Phalane, Laos, 27 aprile 1961

Joseph Outhay Phongphumi nacque nel Siam (l’attuale Thailandia) in una famiglia numerosa e già cattolica e fu inviato al Seminario minore di Ratchaburi, da cui uscì, terminato il corso di studi, per prendersi cura della sua famiglia.
Si sposò a diciannove anni, ma sua moglie morì di parto l’anno seguente, insieme alla loro unica figlia. Per lui fu il segno che doveva mettersi a disposizione come catechista diocesano, seguendo padre Noël Tenaud, delle Missioni Estere di Parigi.
Nell’aprile 1961 cadde in un’imboscata insieme a lui e a un ragazzo sordomuto, poi liberato. Quando il missionario chiese di essere riportato alla missione con Joseph Outhay, entrambi vennero portati via e uccisi il 27 aprile 1961.
Inseriti nel gruppo di quindici martiri capeggiato dal sacerdote laotiano Joseph Thao Tiên, sono stati beatificati l’11 dicembre 2016 a Vientiane, nel Laos. La loro memoria liturgica cade il 16 dicembre, unitamente a quella degli altri quindici martiri del Laos.

Primi anni
Joseph Outhay Phongphumi nacque a Kham Koem, un villaggio agricolo nel nord-est dell’attuale Thailandia, a ridosso del Natale 1933, data nella quale fu battezzato. Il suo villaggio era uno dei primi ad essere stato evangelizzato dai sacerdoti della Società delle Missioni Estere di Parigi, che si occupavano di un vasto territorio tra Laos e Siam.
Outhay era il decimo di ventidue figli, quasi tutti morti giovanissimi o comunque in tenera età. Suo padre, Paul Khrua, era catechista e non si lasciò impaurire dalla persecuzione avviata in Siam nel dicembre 1940, anzi: ospitò in casa propria suor Veronica, delle Religiose Amanti della Croce, alla quale era stato proibito di portare l’abito religioso e di vivere in comunità.
Le sorelle di Outhay notarono subito che la sua presenza, accanto a quella della madre, era molto importante per lui.

Allievo del Seminario minore, poi catechista
Al termine della persecuzione, Joseph Outhay aveva dodici anni ed era intelligente, dotato e religioso. Per questo motivo venne inviato al sud, nel Seminario minore retto dai Salesiani a Bang Nok Khuek (Ratchaburi), all’epoca l’unico del Paese.
Terminato il periodo di sei anni per gli studi secondari, tornò al villaggio. Non si sa per quale motivo: forse era perché, nel frattempo, la madre era morta, come anche i suoi fratelli più anziani. Ritrovatosi a essere il figlio maggiore, dovette quindi prendersi cura del padre e dei quattro fratelli minori rimasti.
Le sorelle ricordarono che era dotato di un carattere onesto, che non lasciava indifferente chiunque lo incontrasse. Appassionatissimo alla sua fede cristiana, come gli era stato insegnato dal padre, dirigeva la preghiera e i canti in chiesa; proclamava le letture e a volte insegnava il catechismo.

Sposato e subito vedovo
Dato che era ormai in età per prendere moglie, gli fu presentata una cugina, Maria Khamtan. Si sposarono il 17 febbraio 1953: lo sposo aveva poco più di diciannove anni, mentre la sposa ne aveva venticinque. Tuttavia, rimase presto vedovo: la moglie, infatti, morì di parto e, tre mesi dopo, fu seguita dalla loro unica figlia.
Al seguito di padre Noël Tenaud
Provato da quei lutti, Joseph Outhay accettò la proposta di padre Noël Tenaud, della Società delle Missioni Estere di Parigi, che tempo addietro era stato parroco della comunità cristiana di Kham Koem e all’epoca era missionario nella provincia di Khammouan nel Laos, nonché pro-prefetto della Prefettura apostolica di Thakhek, di recente fondazione.
Stava appunto cercando nuove leve per organizzare al meglio l’evangelizzazione in quel territorio tanto esteso: invitò quindi il giovane vedovo a seguirlo, dopo il necessario periodo di formazione nella scuola di Sriracha, nel sud della Thailandia.
Outhay accettò con gioia, pur soffrendo il distacco dalla famiglia, che comprese il suo desiderio di nuove sfide. In seguito, in spirito di fedeltà e riconoscenza, tornò a trovare i familiari almeno una volta l’anno.
Fu al fianco di padre Tenaud durante i suoi ultimi tre anni nella parrocchia di Pongkiou, vicino a Thakhek, centro importante per il servizio alla minoranza etnica dei Sô. In particolare, si occupò d’insegnare agli apprendisti catechisti, ai quali mostrava la parte seria del suo carattere. Per il resto, era capace di far sorridere le Suore A
manti della Croce, che conservarono di lui un buon ricordo. Tutte le sue migliori risorse erano impiegate per trasmettere il Vangelo agli altri.
Al servizio del vicario apostolico
Nel giugno 1958, padre Tenaud tornò in Francia per un anno di riposo. Questo fatto, unito a un periodo in cui mancò perfino da mangiare, spinse Outhay a tornare nel suo villaggio natale. Mentre era sul punto di cedere alla disperazione, pur confidando nella Provvidenza, entrò in contatto con don Michel Kien Samophithak, il sacerdote thailandese che celebrava la Messa domenicale nella parrocchia di Kham Koem.
Nominato vicario apostolico di Tharè nel febbraio 1959, conobbe più profondamente Outhay, restando favorevolmente colpito da lui.
La sua intenzione era fondare una congregazione di fratelli insegnanti e pensava che lui potesse esserne uno dei pilastri; così, l’invitò a venire a vivere in episcopio. Il giovane, che non aveva altro pensiero se non servire Dio e la Chiesa, acconsentì.

Di nuovo con padre Tenaud
Monsignor Michel Kien venne ordinato vescovo nel luglio 1959 e prese possesso del vicariato, ma nello stesso periodo tornò padre Noel Tenaud con un nuovo incarico: accettò una parrocchia pressoché inesistente, in una provincia del tutto priva di cristiani, dove quindi l’evangelizzazione non era ancora cominciata.
Facendo base a Savannakhet, visitava i villaggi verso la frontiera del Vietnam, con la speranza di creare una nuova comunità cristiana. Per questo motivo, supplicò il vescovo – fino alle lacrime, faceva notare la sorella di Outhay – di cederglielo e di riprendere il lavoro di squadra con lui.
Quanto al diretto interessato, non esitò un momento a seguirlo nei suoi viaggi di evangelizzazione. Era consapevole dei rischi cui poteva andare incontro, nella situazione politica del Laos che era sempre più complicata; perciò, i suoi familiari non cercarono di dissuaderlo.
Il missionario e il catechista s’installarono a Xepone, ma avevano anche una piccola residenza nella città di Savannakhet, per trascorrervi qualche giorno di riposo e per i momenti di ritiro. Se con i sacerdoti la gente del luogo si teneva a distanza, con Outhay si apriva più facilmente.

L’ultimo viaggio
Nell’aprile 1961, padre Tenaud partì con lui e con un giovanissimo cristiano sordomuto, per girare i villaggi che gli erano stati affidati. Giunto al passaggio del campo di Seno (Xenô), i militari francesi l’avvertirono che un attacco dei nord-vietnamiti si stava preparando sulla zona che doveva raggiungere e lo sconsigliarono formalmente di proseguire. Più avanti, un pastore protestante gli confermò la brutta notizia, ma lui tirò dritto.
Dopo aver raggiunto il cuore dell’offensiva, tornò indietro, ma la strada era stata interrotta oltre Phalane, a circa cinquanta chilometri da Savannakhet. I tre viaggiatori, allora, si rifugiarono in un villaggio lungo la strada, ma furono traditi dai loro stessi ospiti e arrestati dai soldati nord-vietnamiti, che imposero loro di tornare a Phalane.
Sulla strada tra Muang Phine e Phalane, tuttavia, caddero in un’imboscata: i soldati furono uccisi, padre Tenaud ferito a una gamba, mentre Outhay fu colpito al collo. Ricondotti a Phalane, vennero curati, mentre il ragazzo sordomuto venne rimesso in libertà.

Il martirio
Dopo otto giorni, il missionario domandò all’amministrazione provvisoria stabilita nella zona di poter rientrare a Savannakhet con Outhay. Alcuni testimoni li videro uscire dall’ufficio dell’amministrazione e, da allora, non ebbero più loro notizie né arrivarono a destinazione.
Nel 1963 varie testimonianze condussero a pensare che entrambi fossero dispersi. La Società delle Missioni Estere registrò quindi la morte di padre Tenaud alla data presunta del 15 dicembre 1962.
Un avviso ufficiale dell’ambasciata di Francia in Laos, datato 19 aprile 1967, retrodatò la sua uccisione al 27 aprile 1961. La ragione ultima dell’accaduto rientrava probabilmente nei tentativi da parte dei guerriglieri di sradicare il cristianesimo dal Laos: era visto come un pericolo e i missionari apparivano, di conseguenza, come "nemici del popolo".

La causa di beatificazione
Padre Noël Tenaud e Joseph Outhay Phongphumi sono stati inseriti in un elenco di quindici tra sacerdoti, diocesani e missionari, e laici, uccisi tra Laos e Vietnam negli anni 1954-1970 e capeggiati dal sacerdote laotiano Joseph Thao Tiên. La fase diocesana del loro processo di beatificazione, ottenuto il nulla osta dalla Santa Sede il 18 gennaio 2008, si è svolta a Nantes (di cui era originario il già citato padre Jean-Baptiste Malo) dal 10 giugno 2008 al 27 febbraio 2010, supportata da una commissione storica.
A partire dalla fase romana, ovvero dal 13 ottobre 2012, la Congregazione delle Cause dei Santi ha concesso che la loro "Positio super martyrio", consegnata nel 2014, venisse coordinata, poi studiata, congiuntamente a quella di padre Mario Borzaga, dei Missionari Oblati di Maria Immacolata, e del catechista Paul Thoj Xyooj (la cui fase diocesana si era svolta a Trento).

Il decreto sul martirio e la beatificazione
Il 27 novembre 2014 la riunione dei consultori teologi si è quindi pronunciata favorevolmente circa il martirio di tutti e diciassette. Questo parere positivo è stato confermato il 2 giugno 2015 dal congresso dei cardinali e vescovi della Congregazione delle Cause dei Santi, ma solo per Joseph Thao Tiên e i suoi quattordici compagni: padre Borzaga e il catechista, infatti, avevano già ottenuto la promulgazione del decreto sul martirio il 5 maggio 2015.
Esattamente un mese dopo, il 5 giugno, papa Francesco autorizzava anche quello per gli altri quindici.
La beatificazione congiunta dei diciassette martiri, dopo accaniti dibattiti, è stata infine fissata a domenica 11 dicembre 2016 a Vientiane, nel Laos. A presiederla, come inviato del Santo Padre, il cardinal Orlando Quevedo, arcivescovo di Cotabato nelle Filippine e Missionario Oblato di Maria Immacolata. La loro memoria liturgica cade il 16 dicembre, anniversario del martirio di padre Jean Wauthier, Missionario Oblato di Maria Immacolata.

(Autore: Emilia Flocchini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Beato Giuseppe Outhay Phongphumi, pregate per noi.

*San Liberale - Eremita (27 Aprile)
Patronato: Treviso
Etimologia: Liberale = signific. chiaro
Martirologio Romano: Ad Altíno in Veneto, San Liberale, eremita.
Una leggenda, che secondo R. degli Azzoni Avogari, studioso trevigiano, sarebbe stata composta nel sec. X, sfruttando anche elementi tolti da leggende d'altri Santi, ed è conservata in un ms. della fine del sec. XIV e in diversi compendi, dei quali alcuni anteriori al ms., racconta che Liberale, nato ad Altino da famiglia appartenente all'ordo equester, fu educato nella fede cristiana da Eliodoro, primo vescovo della città.
Allo studio della dottrina cristiana, alle preghiere prolungate e alle dure mortificazioni della carne egli univa l'assistenza ai poveri e agli ammalati e l'azione vigorosa per sostenere il coraggio
dei credenti, convertire i pagani e gli ariani e opporsi alle loro prepotenze. Ogni giorno, assisteva alla Santa Messa e ogni domenica si comunicava e, presso cibo solo in quel giorno, restava completamente digiuno il resto della settimana.
Crescendo l'opposizione dei pagani e degli ariani, Eliodoro affidò la sua sede al vescovo Ambrogio e si ritirò nelle isole della laguna. Liberale, rimasto sulla breccia, dopo qualche fempo, preoccupato dell'incapacità di Ambrogio a tener testa a pagani ed eretici, decise d'andare alla ricerca di Eliodoro, ma volle prima chiedere lumi al Signore.
Mentre pregava nella cattedrale s'addormentò e nel sonno gli apparve il suo angelo custode in forma d'uomo dall'aspetto risplendente, che lo incoraggiò e gli preannunciò vicina la morte. Liberale, visitate un'ultima volta le chiese della città e dei dintorni, andò a Castrazone ove era una chiesa dedicata a San Lorenzo.
Non trovando modo di raggiungere l'isola ov'era Eliodoro, si fermò là conducendo vita eremitica; ma colpito da grave malattia, poco dopo morí, il 27 aprile. Clero e popolo lo seppellirono in quella chiesa entro un'arca marmorea.
Attorno a queste linee essenziali e primitive della leggenda, delle quali però è pur difficile provare l'attendibilità, s'incrostarono in seguito miracoli ed episodi tolti per lo piú da leggende analoghe.
Secondo R. degli Azzoni Avogari, il corpo di San Liberale come quello dei martiri Teonisto, Tabra e Tabrata sarebbe stato portato a Treviso dagli abitanti di Altino, quando, nel 452, sotto la minaccia degli Unni di Attila o piú tardi sotto quella dei Longobardi, si rifugiarono numerosi in quella città, nella cui diocesi restarono incorporati definitivamente anche Altino e il suo territorio.
Invece, la sede vescovile nel 639, se non anche piú tardi, passò a Torcello, dove il doge Andrea Dandolo (m. 1354) e poco dopo il domenicano Pietro Calò affermarono essere stati portati anche i corpi di Liberale, Teonisto Tabra e Tabrata, per essere collocati in quella cattedrale.
Però la presenza e il culto a Treviso di quei corpi santi sono attestati, a cominciare dal 1082, da un crescendo di testimonianze monumentali ed archivistiche man mano che ci si avvicina alla fondazione, nel 1360 o nel 1365 della Confraternita di Santa Liberale da parte del Beato Enrico di Treviso.
Fin dal sorgere del libero comune nel sec. XII Liberale, cavaliere di Altino, era stato proclamato patrono di Treviso, pur restando gli apostoli Pietro e Paolo titolari della cattedrale.
E patrono di Castelfranco Veneto lo vollero fin da principio i cittadini mandati da Treviso nel 1199 a fondare quel castello.
La sua tomba a Treviso è nella cripta della cattedrale e la sua festa è al 27 aprile.
La piú antica iconografia lo rappresenta vestito d'una lunga sottana simile al camice liturgico e d'una sopravveste più corta simile al colobion o alla tunicella o alla dalmatica. Invece nella figurina, scolpita intorno al sepolcro del Beato Enrico di Treviso, è rivestito della clamide dei soldati.
Giorgione nella celebre tela del duomo di Castelfranco lo rappresenta addirittura rivestito di corazza con in mano la bandiera sella città.

(Autore: Ireneo Daniele – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Liberale, pregate per noi.

*San Lorenzo Nguyen Van Huong - Sacerdote e Martire (27 Aprile)
Schede dei gruppi a cui appartiene:
"Santi Andrea Dung Lac e Pietro Truong Van Thi" - Sacerdoti e martiri
"Santi Martiri Vietnamiti" (Andrea Dung Lac e 116 compagni)

Kẻ Sài, Vietnam, 1802 circa - Ninh Bình, Vietnam, 27 aprile 1856
Martirologio Romano:
Nella città di Ninh-Bình nel Tonchino, ora Viet Nam, San Lorenzo Nguy?n Van Hu?ng, sacerdote e martire, che, arrestato mentre visitava di notte un moribondo, per essersi rifiutato di calpestare la croce, fu flagellato e infine decapitato sotto l’imperatore T? Ð?c.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)  
Giaculatoria - San Lorenzo Nguyen Van Huong, pregate per noi.

*Beata Maria Antonia Bandrés y Elósegui - Religiosa della Congregazione delle Figlie di Gesù (27 Aprile)
Tolosa (Spagna), 6 maggio 1898 - Salamanca, 27 aprile 1919
Martirologio Romano:
A Salamanca in Spagna, Beata Maria Antonia Bandrés y Elósegui, vergine, della Congregazione delle Figlie di Gesù, che concluse in breve tempo la sua vita consacrata a Dio, con animo sereno anche nella desolazione.
Primo fiore di santità sbocciato nella Congregazione delle “Figlie di Gesù”, fondata dalla beata Candida Maria di Gesù Cipitria a Salamanca nel 1871.
Maria Antonia Bandrés y Elósegui nacque a Tolosa (Guipúzcoa, Spagna), il 6 maggio 1898, seconda dei 15 figli dell’avvocato Raimondo Bandrés e Teresa Elósegui, in famiglia era chiamata Antonita.
Era cagionevole di salute ma di alta sensibilità, ricevette le prime nozioni di studio dalle sorelle del suo confessore padre Ilario Oscoz.
Fin da bambina frequentò il Collegio delle Figlie di Gesù, fondato a Salamanca il 6 gennaio 1874 dalla madre fondatrice Candida Maria di Gesù; fu esempio ammirevole di virtù ed esempio per i numerosi fratelli più piccoli; non mancavano in famiglia gli agi, ma lei avvertì come proprie le preoccupazioni e le necessità dei poveri e bisognosi, pertanto da giovane fece volontariato (diremmo oggi) nei suburbi di Tolosa e con le operaie del sindacato un’opera di evangelizzazione e sociale, abbastanza rara per quei tempi.
Nel 1913 a Loyola, durante gli Esercizi Spirituali, si ricordò quanto le aveva detto madre Candida un paio d’anni prima: ”Tu sarai Figlia di Gesù” e allora prese la decisione di essere tutta e solo di Gesù.
Entrò nella Congregazione l’8 dicembre 1915 a 17 anni e il 31 maggio 1918 emise i voti religiosi a
Salamanca; dopo pochissimo tempo la sua salute che già non era buona, cominciò ad indebolirsi ulteriormente, le varie biografie non dicono di che tipo era la malattia, ma ben presto si capì che era inesorabile.
Fu seguita nell’evolversi del male dal dottor Filiberto Villalobos, il quale confessava di essere “commosso da quella serenità di spirito e da quella fede che la rendevano così felice nelle sue ultime ore di vita”.
Il dottore confidava le sue impressioni a due amici intellettuali agnostici, esclamando: “Quanto è sbagliata la nostra vita!
Questo sì che è morire…!”, provocando in questi uomini un impatto emotivo nel loro spirito, vedendo morire a soli 21 anni Maria Antonia Bandrés con la sicurezza di chi “sa dove va”, secondo la loro testimonianza.
Aveva qualche mese prima offerto la sua vita per la salvezza di uno zio suo padrino di Battesimo, avviato su una cattiva strada; questo suo zio comprendendo la spiritualità della nipote, in un giorno di grazia, ritornò sulla retta via. Suor Maria Antonia morì il 27 aprile 1919 a Salamanca, un anno dopo la sua professione.
È stata beatificata il 12 maggio 1996 da Papa Giovanni Paolo II, insieme alla Madre Fondatrice Candida Maria di Gesù. La sua celebrazione liturgica è il 27 aprile.

(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Maria Antonia Bandrés y Elósegui, pregate per noi.

*San Mawgan (o Magaldo) - Vescovo (27 Aprile)
Martirologio Romano: Sull’isola di Anglesey lungo la costa settentrionale del Galles, San Mawgan o Magaldo, vescovo, uomo di luminosa santità.
Figlio di Gwyndaf Hein ab Emry Llydaw e Gwenonwy, fu monaco dapprima a Cor Illtyd a Llantwit, quindi a Cor Dyfrig (Caerleon-on-Usk), dove suo padre era superiore; infine si ritirò a Bardsey.
Sin dalla sua morte, nella metà del VI sec, ebbe un esteso culto nel Galles, nell'Anglesey, nel Denbighshire, nel Breconshire e soprattutto nel Pembrokeshire.
Nei calendari gallesi è commemorato in date diverse: 14 febbraio, 25 aprile, 25 e 26 settembre, 15 novembre
Il diffondersi del suo culto in Cornovaglia (soprattutto a Mawgan-in-Pydar e Mawgan-in-Menea-ge) ed in Armorica, può essere valutato dalla varietà di forme in cui si ritrova il suo nome: Malcan, Malcaut, Machan, Maugen, Mawan, Meugan, Meygan, Moygan, Migan, Maugand, Malgand, Magaldus.  

(Autore: Leonard Boyle – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Mawgan, pregate per noi.

*Beato Natale Tenaud - Sacerdote e Martire (27 Aprile)

Scheda del Gruppo a cui appartiene:
"Beati Martiri del Laos" - 16 dicembre (celebrazione di gruppo)

Rocheservière, Francia, 11 novembre 1904 - Phalane, Laos, 27 aprile 1961
Padre Noël Tenaud, della Società delle Missioni Estere di Parigi, operò a lungo nei territori tra Thailandia e Laos, impegnandosi anche nella resistenza armata all’esercito giapponese. Incaricato di svariati villaggi, riusciva a farsi ascoltare da tutti e si preoccupava in particolare dei catecumeni.
Nell’aprile 1961 cadde in un’imboscata insieme al catechista Joseph Outhay Phongphumi e a un ragazzo sordomuto, poi liberato.
Alla richiesta di essere riportato alla missione col catechista, venne portato via e ucciso con lui il 27 aprile 1961. Inseriti entrambi nel gruppo di quindici martiri capeggiato dal sacerdote laotiano Joseph Thao Tiên, sono stati beatificati l’11 dicembre 2016 a Vientiane, in Laos. La loro memoria liturgica cade il 16 dicembre, unitamente a quella degli altri quindici martiri del Laos.

Nell’aprile 1961 cadde in un’imboscata insieme al catechista Joseph Outhay Phongphumi e a un ragazzo sordomuto, poi liberato.
Alla richiesta di essere riportato alla missione col catechista, venne portato via e ucciso con lui il 27 aprile 1961. Inseriti entrambi nel gruppo di quindici martiri capeggiato dal sacerdote laotiano Joseph Thao Tiên, sono stati beatificati l’11 dicembre 2016 a Vientiane, in Laos. La loro memoria liturgica cade il 16 dicembre, unitamente a quella degli altri quindici martiri del Laos.

Una vocazione alimentata dal sangue dei Martiri
Noël Tenaud nacque l’11 novembre 1904 a Rocheservière in Francia e fu battezzato l’indomani. Il suo villaggio era vicino a Nantes, ma apparteneva alla diocesi di Luçon. Geograficamente, si trova in Vandea, la regione diventata celebre per la resistenza alla Rivoluzione francese che costò la morte di numerosi cattolici, di tutti gli stati di vita e di qualsiasi età.
Crebbe quindi nel ricordo di quelle lotte sanguinose e, in modo del tutto naturale, desiderò diventare sacerdote. Frequentò dunque gli studi secondari nel Seminario minore di Chavagnes-en-Paillers e fu poi ammesso al Seminario maggiore di Luçon, dove studiò dal 1924 al 1928.

Missionario in Thailandia
Si sentì però chiamato alle missioni all’estero: accadeva spesso, infatti, che i membri dei primi istituti missionari passassero nei Seminari in cerca di nuove leve. Così, il 14 settembre 1928, passò al Seminario della Società delle Missioni Estere di Parigi.
Ordinato sacerdote il 29 giugno 1931, partì il 7 settembre successivo per la missione del Laos, la cui parte principale era nel territorio dell’allora Siam. Dal 1932 al 1934 fu a Tharae, dove si dedicò a studiare soprattutto la lingua lao. In seguito divenne parroco di Kham Koem, una comunità cristiana ben stabilita.

Passaggio in Laos
Nel novembre 1940, a causa di una persecuzione religiosa scoppiata nel territorio dell’ormai Thailandia, i missionari francesi dovettero riparare in Laos, sull’altra riva del fiume Mekong, sotto la protezione della madrepatria. Nel nuovo territorio, padre Tenaud venne assegnato alla missione di Nam Tok, dove restò tre anni.
Nel pieno della seconda guerra mondiale, dovette trascorrere un anno in esilio in Vietnam. Rientrato in Laos, dovette occuparsi della comunità cristiana di Pongkiou, nella provincia di Khammouan, abitata dall’etnia dei Sô.

Protagonista della resistenza
Nel marzo seguente, un colpo di forza dell’esercito giapponese provocò un massacro di civili francesi e la rovina di numerose missione. Anche tre membri della Società delle Missioni Estere, i vescovi monsignor Gouin e monsignor Thomine e il sacerdote Jean Thibaud vennero portati nella foresta e uccisi senz’alcuna forma di processo.
A padre Tenaud parve di rivivere i racconti di quanto accaduto in Vandea e decise di non restare in disparte: divenne quindi uno dei protagonisti della resistenza franco-laotiana contro i giapponesi, ritenendo che la lotta armata rappresentasse la salvaguardia sia degli uomini sia dell’opera di evangelizzazione che lui e i missionari dovevano portare avanti. Mise quindi insieme un piccolo esercito composto dai Sô e da altri laotiani dei villaggi vicini, la cui organizzazione venne lodata dall’esercito ufficiale e valse per lui la Legion d’Onore.

Distacco dalla vita militare
Un lungo congedo in Francia, dal marzo 1947 al dicembre 1948, gli fece capire di dover prendere le distanze dalla vita militare. Si diede quindi alla ricostruzione delle comunità cristiane del Laos, in qualità di pro-vicario e delegato per la parte del vicariato che rientrava nel protettorato francese. Fu poi nominato pro-prefetto della neonata prefettura apostolica di Thakhek.
Nel Natale 1953, le truppe dei guerriglieri avanzavano sempre di più nella regione. L’esercito francese costrinse quindi i missionari a evacuare la zona, rifugiandosi a Pakse, nel sud del paese. Padre Tenaud sfuggì alla stessa sorte del gruppo composto dal prefetto apostolico, da altri tre confratelli e da una religiosa, arrestato il 15 febbraio 1954 e deportato in Vietnam; padre Jean-Baptiste Malo, parte di quel gruppetto, morì di stenti il 28 marzo seguente.

La sua attività missionaria
Nominato superiore ad interim dei missionari parigini e procuratore della Missione, poté dedicarsi ancora più direttamente all’attività missionaria. A Thakhek divenne famoso perché cercava in tutta la città i cristiani che erano scappati dai villaggi, ma si erano persi.
Nel corso di una visita al suo vecchio villaggio di Kham Koem, incontrò Joseph Outhay Pongphumi, un giovane vedovo molto portato per l’insegnamento: gli chiese dunque di seguirlo come catechista, dopo il necessario periodo di formazione nella scuola di Sriracha, nel sud della Thailandia.

In un territorio a rischio
Nel giugno 1958 padre Tenaud partì per un anno di riposo in Francia. Al suo ritorno, accettò una parrocchia pressoché inesistente, in una provincia del tutto priva di cristiani, dove quindi l’evangelizzazione non era ancora cominciata. Facendo base a Savannakhet, visitava i villaggi verso la frontiera del Vietnam, con la speranza di creare una nuova comunità cristiana.
La regione era apparentemente tranquilla, ma spesso, lungo la strada, il missionario incontrava alcuni guerriglieri: senz’alcun timore, li caricava sul suo fuoristrada. Quel suo comportamento, unito alle sue andate e venute, offrì loro l’occasione di tendergli una trappola. A chi gli faceva presente il rischio, lui rispondeva che conosceva i soldati e che non c’era affatto bisogno di temerli.

L’ultimo viaggio
Nell’aprile 1961, padre Tenaud partì col catechista Outhay e un giovanissimo cristiano sordomuto, per girare i villaggi che gli erano stati affidati. Giunto al passaggio del campo di Seno (Xenô), i militari francesi l’avvertirono che un attacco dei nord-vietnamiti si stava preparando sulla zona che doveva raggiungere e lo sconsigliarono formalmente di proseguire. Più avanti, un pastore protestante gli confermò la brutta notizia, ma lui tirò dritto.
Dopo aver raggiunto il cuore dell’offensiva, tornò indietro, ma la strada era stata interrotta oltre Phalane, a circa cinquanta chilometri da Savannakhet. I tre viaggiatori, allora, si rifugiarono in un villaggio lungo la strada, ma furono traditi dai loro stessi ospiti e arrestati dai soldati nord-vietnamiti, che imposero loro di tornare a Phalane.
Sulla strada tra Muang Phine e Phalane, tuttavia, caddero in un’imboscata: i soldati furono uccisi, padre Tenaud ferito a una gamba, mentre Outhay fu colpito al collo. Ricondotti a Phalane, vennero curati, mentre il ragazzo sordomuto venne rimesso in libertà.

Il martirio
Dopo otto giorni, il missionario domandò all’amministrazione provvisoria stabilita nella zona di poter rientrare a Savannakhet con Outhay. Alcuni testimoni li videro uscire dall’ufficio dell’amministrazione e, da allora, non ebbero più loro notizie né arrivarono a destinazione.
Nel 1963 varie testimonianze condussero a pensare che entrambi fossero dispersi. La Società delle Missioni Estere registrò quindi la morte di padre Tenaud alla data presunta del 15 dicembre 1962. Un avviso ufficiale dell’ambasciata di Francia in Laos, datato 19 aprile 1967, retrodatò la sua uccisione al 27 aprile 1961.
La ragione ultima dell’accaduto rientrava probabilmente nei tentativi da parte dei guerriglieri di sradicare il cristianesimo dal Laos: era visto come un pericolo e i missionari apparivano, di conseguenza, come "nemici del popolo".
La causa di beatificazione
Padre Noël Tenaud e Joseph Outhay Phongphumi sono stati inseriti in un elenco di quindici tra sacerdoti, diocesani e missionari, e laici, uccisi tra Laos e Vietnam negli anni 1954-1970 e capeggiati dal sacerdote laotiano Joseph Thao Tiên. La fase diocesana del loro processo di beatificazione, ottenuto il nulla osta dalla Santa Sede il 18 gennaio 2008, si è svolta a Nantes (di cui era originario il già citato padre Jean-Baptiste Malo) dal 10 giugno 2008 al 27 febbraio 2010, supportata da una commissione storica.
A partire dalla fase romana, ovvero dal 13 ottobre 2012, la Congregazione delle Cause dei Santi ha concesso che la loro "Positio super martyrio", consegnata nel 2014, venisse coordinata, poi studiata, congiuntamente a quella di padre Mario Borzaga, dei Missionari Oblati di Maria Immacolata, e del catechista Paul Thoj Xyooj (la cui fase diocesana si era svolta a Trento).

Il decreto sul martirio e la beatificazione
Il 27 novembre 2014 la riunione dei consultori teologi si è quindi pronunciata favorevolmente circa il martirio di tutti e diciassette. Questo parere positivo è stato confermato il 2 giugno 2015 dal congresso dei cardinali e vescovi della Congregazione delle Cause dei Santi, ma solo per Joseph Thao Tiên e i suoi quattordici compagni: padre Borzaga e il catechista, infatti, avevano già ottenuto la promulgazione del decreto sul martirio il 5 maggio 2015. Esattamente un mese dopo, il 5 giugno, papa Francesco autorizzava anche quello per gli altri quindici.
La beatificazione congiunta dei diciassette martiri, dopo accaniti dibattiti, è stata infine fissata a domenica 11 dicembre 2016 a Vientiane, nel Laos.
A presiederla, come inviato del Santo Padre, il cardinal Orlando Quevedo, arcivescovo di Cotabato nelle Filippine e Missionario Oblato di Maria Immacolata. La loro memoria liturgica cade il 16 dicembre, anniversario del martirio di padre Jean Wauthier, Missionario Oblato di Maria Immacolata.

(Autore: Emilia Flocchini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Beato Natale Tenaud, pregate per noi.

*Beato Nicola Roland - Fondatore (27 Aprile)

Reims, Francia, 8 dicembre 1642 – 27 aprile 1678
I
l Beato francese Nicola Roland, sacerdote, preoccupato per la scarsa formazione cristiana della gioventù, istituì scuole per la gioventù femminile, allora esclusa da ogni tipo di istruzione, e fondò anche la Congregazione delle Suore del Santo Bambino Gesù. Giovanni Paolo II lo beatificò il 16 ottobre 1994.
Martirologio Romano: A Reims in Francia, Beato Nicola Roland, sacerdote, che, impegnato nella formazione cristiana dei fanciulli, aprì scuole per le ragazze povere, allora escluse da ogni forma di istruzione, e fondò la Congregazione delle Suore del Santo Fanciullo Gesù.
È il terzo componente di quel fantastico trio di fondatori educatori, che con le loro opere, illuminarono insieme ad altri Santi, la Francia nel Seicento, e ad essere elevato agli onori degli altari; essi sono San Giovanni Battista de La Salle (1651-1719), fondatore dei “Fratelli delle Scuole Cristiane”, il Beato Nicolas Barré (1621-1686), fondatore delle “Maestre di Carità”, poi Suore di Gesù Bambino e il beato Nicola Roland, fondatore delle Suore del Santo Bambino Gesù di Reims, di cui parliamo.
Il Beato Nicola Roland nacque a Reims in Francia, l’8 dicembre 1642, primogenito del commerciante Jean Baptiste Roland e di Nicole Beuvelet, in famiglia vi era anche la piccola Adrienne, unica rimasta dei cinque figli del primo matrimonio del padre, vedovo di Maria Favart.
Nicola fu affidato ad una nutrice molto religiosa; dotato di grande intelligenza intorno ai cinque anni imparò a leggere; nel 1650 ad otto anni, prese a frequentare le ‘petites écoles’, poi nel 1658 compì gli studi nel Collegio dei Gesuiti di Reims.
Di aspetto gradevole, non tardò ad inserirsi nella vita mondana della borghesia, partecipando con piacere ad intrattenimenti e distrazioni; dopo una presunta delusione amorosa, prese a viaggiare in giro per la Francia, per fare esperienze di lavoro.
Al termine di quel periodo d’incertezza sul suo futuro, decise di votarsi alla vita ecclesiastica, pertanto nel 1660 si trasferì a Parigi, prendendo alloggio presso un artigiano in una zona popolare, per poter frequentare i due anni di filosofia necessari per essere ammessi al biennio di teologia.
A Parigi frequentò gli ambienti più fervorosi, entrando in contatto con Associazioni cattoliche operanti anche nel sociale, gli Amici di padre Bagot, i fondatori della Società delle Missioni Estere, praticò i Seminari di Bons- Enfant di s. Vincenzo de’ Paoli (1581-1660); di S. Sulpizio di Jean-Jacques Olier, servo di Dio (1608-1657) e di San Nicola del Chardonnet; terminò gli studi con il dottorato in teologia.
Ricevuto il diaconato, rivestito dell’abito ecclesiastico, il 3 marzo 1665 fu nominato canonico teologo, cioè predicatore nella cattedrale di Reims, senza lasciare i contatti con Parigi dove tornò spesso.
Non esistono documenti che attestino la data della sua ordinazione sacerdotale, che non poté comunque essere prima del dicembre 1627, secondo le norme del Concilio di Trento che prescrivevano minimo 25 anni.
La frequentazione degli Istituti parigini dei Lazzaristi, Sulpiziani, Missioni Estere, fece crescere in lui la conoscenza di realtà ed iniziative sempre nuove, al cui centro era la popolazione più reietta e l’infanzia abbandonata, bisognosa di attività caritative, assistenza, educazione.
Dopo la parentesi della peste che colpì Reims nell’estate 1668, padre Nicola Roland proseguì nella sua impegnata attività di predicatore in cattedrale, organizzò conferenze per il clero, si dedicò alle missioni nelle campagne, spostandosi perlopiù a piedi, affrontando fatiche, disagi e pericoli.
Fu direttore spirituale di laici di ogni condizione sociale e di persone consacrate, fra le quali San Giovanni Battista de La Salle; nel 1670 predicò la Quaresima a Rouen e ciò ebbe grande importanza nella sua vita, qui incontrò il curato di Saint-Amand, Antoine de La Haye, uomo di
grandi virtù; il contatto con lui lo portò a penetrare maggiormente nella vita spirituale e gli fece scoprire l’importanza del ruolo della scuola nella propagazione della fede cattolica.
A Rouen incontrò anche il Beato Nicolas Barré e il gruppo di uomini e donne dediti alle scuole gratuite; fu un’esperienza decisiva e padre Roland disse: “Sono risoluto a lavorare per fondare scuole gratuite per l’istruzione delle ragazze”.
Ritornato a Reims, già impegnato nell’assistenza agli infermi dell’Hôtel-Dieu e dal 1670 anche di un orfanotrofio, prese a considerare e concretizzare l’idea di una comunità simile a quella di Rouen.
Chiese ed ottenne da padre Barré l’invio di due suore da Rouen, per dirigere l’orfanotrofio da lui ampliato in un nuovo grande edificio e per istituire scuole popolari nei vari quartieri di Reims. Il 27 dicembre 1670, arrivarono suor Francoise Duval e suor Anne Le Coeur, che misero praticamente le radici per una nuova piccola Congregazione; padre Roland celebrò l’8 gennaio 1671 una prima Messa nel nuovo orfanotrofio dedicato al “Saint-Enfant Jesus” (Santo Bambino Gesù) e in seguito furono aperte alcune classi per l’istruzione delle bambine.
Nel 1672 incontrò s. Giovanni Battista de La Salle, futuro fondatore dei “Fratelli delle Scuole Cristiane”, il quale voleva convincerlo senza riuscirci, a rinunciare al canonicato per prendere la guida di una parrocchia.
Intanto le suore crescevano di numero e padre Roland si recò a Parigi per espletare le pratiche, affinché il gruppo fosse l’inizio di una nuova Congregazione, dedita all’istruzione dell’infanzia sulla scia di quella di Rouen; rientrò a Reims il Giovedì Santo 7 aprile 1678; il 19 aprile cadde gravemente ammalato, tanto che il 23 alla presenza dei notai, stese il suo minuzioso testamento, i cui esecutori dovevano essere il diacono Nicolas Rogier ed il canonico Giovanni Battista de La Salle.
A quest’ultimo, Roland chiese di essere il successore delle sue opere e completare l’organizzazione della Congregazione delle Suore del Santo Bambino Gesù, che egli aveva fondato a Reims nella linea di quella di Rouen, ma con una caratterizzazione particolare, come è detto nei suoi scritti, soprattutto negli “Avis aux régulières”.
La Salle, benché non si sentisse attirato da questa forma di apostolato, accettò la richiesta del suo amico Roland fatta sul letto di morte; dell’orfanotrofio aveva detto: “È opera di Dio; se ne prenderà cura quando io non me ne potrò più occupare”.
Dopo aver ricevuto gli ultimi Sacramenti, circondato dai canonici venuti ad assisterlo, Nicola Roland spirò serenamente il 27 aprile 1678 a nemmeno 36 anni, fu sepolto nella cripta della cappella delle Suore del Santo Bambino Gesù a Reims.
Giovanni Battista de La Salle, si mise subito al lavoro e già il 9 maggio 1678 ottenne l’approvazione regale e le costituzioni, preparate sommariamente da padre Roland, furono approvate il 12 novembre 1683 e le Suore, l’8 febbraio 1684 poterono pronunciare per la prima volta i voti.
Inoltre San Giovanni Battista de La Salle, che aveva compreso le intuizioni profonde di Nicola Roland, volle creare anche per i bambini l’equivalente delle maestre di scuola delle fanciulle; fondò così i “Fratelli delle Scuole Cristiane”.
In questo contesto, Nicola Roland appare come uno dei precursori principali dell’apostolato del XVII secolo, nel campo dell’insegnamento elementare e della catechesi; stranamente però il suo nome è restato poco conosciuto fino ai nostri giorni, la sua prima ‘Vita’ di A. Hammesse è apparsa solo nel 1888; ma da allora l’interesse nei suoi confronti non è venuto mai meno.
Anche la sua causa di beatificazione, introdotta nel 1942, ha sofferto di intralci procedurali e lungo silenzio.
È stato proclamato Beato il 16 ottobre 1994 a Roma da Papa Giovanni Paolo II; la sua festa liturgica è il 27 aprile.

(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Nicola Roland, pregate per noi.

*San Pietro Armengol - Mercedario (27 Aprile)
Guardia de Prats (Tarragona), 1238 – 27 aprile 1304
Martirologio Romano:
A Tarragona nel regno di Aragona sulla costa della Spagna, San Pietro Ermengol, che, un tempo capo di predoni, convertitosi poi a Dio, entrò nell’Ordine della Beata Maria Vergine della Mercede e si dedicò con tutte le forze per il riscatto degli schiavi in Africa.
Pietro Armengol nacque nel 1238 a Guardia de Prats, vicino Montblanch (Tarragona), figlio di Arnaldo Armengol, discendente della nobile famiglia spagnola dei conti di Urgel.
Da giovane non fu un santo, tutt’altro, con la superbia e l’irrequietezza del suo carattere, menò una vita di vizio e di incontrollata avventura; attirò su di sé l’odio dei concittadini di ogni ceto,
perché costretti a subire la sua prepotenza e le sue ingiurie.
Arrivò a mettersi a capo di un gruppo di banditi, dopo aver lasciato casa e famiglia, fuggì sui monti, seminando il terrore nei paesi e il pericolo sulle strade; fu un criminale della peggiore specie unitamente agli altri banditi suoi complici.
Ma la Grazia di Dio era prossima a manifestarsi, nel 1258 il re di Spagna Giacomo I, incaricò proprio Arnaldo Armengol di debellare il banditismo, che rendeva insicure le strade e faceva morire il commercio e le comunicazioni.
Arnaldo venne a trovarsi di fronte alla banda capeggiata dal figlio Pietro, che dopo questo incontro drammatico, venne colpito dalla grazia e si pentì della vita che aveva condotto fino ad allora; si recò da Guglielmo di Bas, successore del fondatore dei Mercedari, s. Pietro Nolasco, si confessò e chiese consiglio; Guglielmo si convinse della sua sincerità e lo ammise nel noviziato dell’Ordine della Mercede nel 1258.
Sin dal primo giorno della sua entrata, cambiò totalmente vita, dimostrando così la sincerità della conversione; la crudeltà si trasformò in fervida carità e i vizi in continua preghiera e dura penitenza.
Gli vennero presto assegnati diversi incarichi, missioni e viaggi tra i musulmani, allo scopo di riscattare schiavi e prigionieri, secondo il primario compito per cui era sorto l’Ordine della Mercede; operò prima nei regni di Granada e di Murcia governati dai musulmani e poi direttamente ad Algeri, con una missione più difficile e impegnativa.
Riuscì in due mesi a riscattare ben 346 schiavi che fece rimpatriare; a Bugia riscattò 119 cristiani con alcuni suoi confratelli anch’essi prigionieri; trattò infine la liberazione di 18 ragazzi cristiani che stavano per essere avviati all’islamismo, per trentamila ducati; ma mancando di tale somma, riuscì a farsi accettare al loro posto, così come prescriveva il quarto voto speciale del suo Ordine.
Durante la sua prigionia, fu di conforto agli altri reclusi, operando molte conversioni anche fra i musulmani; le Autorità si indispettirono per questo e visto il ritardo del pagamento dei 30.000 ducati, lo considerarono una spia e lo condannarono all’impiccagione.
La sentenza fu subito eseguita e il corpo lasciato agli avvoltoi; poco dopo arrivò con i soldi del riscatto il padre Guglielmo Fiorentino, il quale saputo dell’impiccagione, si recò sul posto per dargli sepoltura, erano trascorsi sei giorni, ma Pietro Armengol viveva ancora e raccontò di essere stato miracolosamente sollevato dalla Madonna.
Liberati, con il denaro portato, altri prigionieri, i due mercedari tornarono in patria, ma Pietro portò per sempre sul suo corpo, i segni di quella tragica e bella vicenda: un pallore sul viso e le vertebre del collo distorte.
I superiori lo inviarono al convento dell’Ordine sito nel suo paese natale, Guardia de Prats; così i concittadini testimoni della sua efferatezza, poterono ammirarlo per la sua santità e penitenza.
Si ammalò gravemente, predicendo la data della sua morte, che avvenne il 27 aprile 1304; prima dei solenni funerali, furono guariti dalle loro malattie, tre uomini e quattro donne.
La sua biografia fu scritta e presentata come documento notarile, pochi giorni dopo la sua morte e avallata dalla firma di cinque confratelli, fra i quali il padre Guglielmo Fiorentino.
Papa Innocenzo XI, il 28 marzo 1686 approvò il suo culto ‘immemorabile’ e la festa fu fissata al 27 aprile, data della sua morte.

(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Pietro Armengol, pregate per noi.

*San Pollione di Cibali - Martire (27 Aprile)

Martirologio Romano: A Vinkoveze in Pannonia, nell’odierna Croazia, san Pollione, lettore e martire, che, arrestato durante la persecuzione dell’imperatore Diocleziano e interrogato dal prefetto Probo, per aver confessato con grande costanza la fede in Cristo ed essersi rifiutato di sacrificare agli idoli, fu messo al rogo fuori delle mura della città.
Appena scoppiata la persecuzione di Diocleziano e Massimiano, il prefetto Probo, governatore di Sirmio, s’affrettò a metterne in esecuzione i decreti, cominciando dai chierici. A Singiduno fece uccidere il prete Montano, a Sirmio il Vescovo Ireneo e il Diacono Demetrio; a Cibali, proprio nell’anniversario del martirio, in una precedente persecuzione, del vescovo Eusebio, gli fu condotto innanzi Pollione, primo lettore di quella Chiesa, ben noto per l’ardore della sua fede.
Dichiarati con franchezza il suo nome, la sua fede e l’ufficio che esercitava nella Chiesa, al prefetto che l’accusava d’essere di quelli che ispirano a volubili donne l’orrore al matrimonio e una vana castità, Pollione rispose fieramente: «Se siamo volubili e leggeri, oggi lo potrai verificare». «In che modo?», chiese il prefetto. «Volubili e leggeri sono coloro che trascurano il loro Creatore per seguire le vostre superstizioni; al contrario si mostrano devoti e costanti nella fede del Re del cielo quelli che ne osservano i comandi anche sotto i tormenti». «Quali comandi? Di quale re?». «I santi e pii comandi di Cristo re», rispose Pollione. «In che consistono?». «Che vi è un solo Dio i cielo; che il legno e la pietra non possono essere chiamati dei; che bisogna emendarci dalle colpe; che i buoni devono perseverare nell’osservanza del loro proposito; che le vergini devono raggiungere la perfezione del loro stato e gli sposi conservare la castità coniugale; che i padroni si convincano a governare gli schiavi con dolcezza più che con la violenza, tenendo conto che la condizione umana è la stessa per tutti; che i servi devono fare il loro dovere più per amore che per timore; che ai re si deve obbedire quando comandano cose giuste e si deve accondiscendere nel bene alle autorità; che si deve rispetto ai genitori, ricambio agli amici, perdono ai nemici, amore ai cittadini, umanità verso gli ospiti, misericordia ai poveri, carità a tutti e a nessuno fare del male; che bisogna sopportare pazientemente le ingiurie e non farne assolutamente ad alcuno, cedere i propri beni e non desiderare quelli degli altri; che vivrà eternamente colui che disprezzerà per la fede la morte momentanea, che voi potete infliggergli.
Se queste cose ti dispiacciono devi prendertela con il tuo giudizio». «Ma che vantaggio c’è a perdere con la morte questa luce e tutte le gioie del corpo?». «La luce eterna è ben superiore a quella terrena e i beni duraturi sono più dolci di quelli passeggeri.
Non è prudenza posporre i beni eterni ai caduchi». Il prefetto troncò la discussione intimandogli di obbedire ai decreti imperiali e sacrificare agli dei, pena la morte di spada. «Fa’ quel che t’è comandato - gli rispose Pollione - io pur di seguire gli insegnamenti dei miei maestri accetto con gioia i castighi che mi infliggerai». Probo lo condannò ad essere bruciato vivo. La sentenza fu eseguita immediatamente ad un miglio dalla città.
Così narra la passio sancti Pollioni, che i Bollandisti giudicano degna di fede, anche se il suo testo deve essere in qualche caso rettificato. Secondo questa passio, composta in base al protocollo del processo una sessantina d’anni dopo gli inizi dell’impero di Valentiniano I, il martirio di Pollione avvenne il 27 aprile (die quinto kalendarum maiarum).
Pollione è invece commemorato al 28 nel Martirologio Romano, nel Sinassario Costantinopolitano e nel Martirologio Geronimiano.
In questo ultimo ricompare con una lezione più corretta il 29 maggio, ma per una svista degli amanuensi. Gli Itinerari del sec. VII nominano un martire Pollione nel cimitero di Ponziano sulla via di Porto. Bosio non crede sia il martire della Pannonia, ma un martire romano. Anche a Ravenna c’era un oratorio monasteriale intitolato a questo Santo.

(Autore: Ireneo Daniele – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Pollione di Cibali, pregate per noi.

*Beato Raffaele Arnaiz Baron - Religioso Trappista (26 aprile)
Burgos, Spagna, 9 aprile 1911 – 26 aprile 1938
Nel monastero di Sant’Isidoro di Duenas il Beato spagnolo Raffaele Arnàiz Baròn, fratello dell’Ordine dei Cistercensi Riformati o di Stretta Osservanza, colpito ancora novizio da grave malattia, sopportò con grande pazienza l’infermità, confidando sempre nel Signore.
Giovanni Paolo II lo beatificò il 27 settembre 1992.

Martirologio Romano: Nel monastero di Sant’Isidoro di Dueñas in Spagna, Beato Raffaele Arnáiz Barón, religioso dell’Ordine Cistercense, che, colpito ancora novizio da una grave malattia, con strenua pazienza sopportò la malferma salute confidando sempre in Dio.
C’è uno zio, particolarmente devoto e illuminato, sulla strada dello spagnolo Raffaele Arnaiz Baròn verso la Trappa.
Non è che i suoi genitori non siano buoni cristiani, anzi: papà, ingegnere forestale di Burgos, e mamma, devotissima e dalla messa quotidiana, sono ricchi tanto di beni e di proprietà terriere quanto di fede viva e profonda.
Ma è a zio Leopoldo, duca di Maqueda, che Raffaele apre il suo cuore.
Nato nel 1911, è un giovane esuberante, pieno di vita, intelligente e brillante negli studi, avviato ad una promettente carriera.
In lui però si scorgono anche, chiari ed evidenti, i segni di una religiosità profonda, di una fede viva, di un forte desiderio di interiorità; è un ragazzo dalla comunione quotidiana, dalla prolungata
adorazione eucaristica, dalla penitenza e dalla mortificazione ormai abituali.
Ha imparato anche ad esercitarsi nella carità, cominciando da quelli a lui più prossimi, cioè le persone di servizio, per estendersi poi ai tanti bisognosi che sua mamma già soccorre ed agli altri che lui va a scovare.
Leggendo la biografia di un trappista francese che lo zio ha fatto pubblicare e facendo a 21 anni gli esercizi spirituali in una trappa, comincia a sentirsi irresistibilmente attratto verso questa vita di silenzio, preghiera e austerità.
É naturalmente zio Leopoldo il primo ad essere messo al corrente della sua decisione di entrare nella Trappa ed il primo a gioirne, anche se poi la gioia si estende a tutta la famiglia, che pure avrebbe desiderato vederlo prima laureato.
A metà febbraio 1934 Raffaele entra come novizio nella Trappa di San Isidro di Duenas.
Pieno di salute e di vitalità come sempre, scrive a casa di essere convinto che “Dio ha fatto la Trappa per me e me per la Trappa”; confida a papà che quando è nel coro con i confratelli “possono passare ore e ore senza che me ne accorga”; confessa candidamente a mamma di provare i morsi della fame, del freddo e del sonno, ma di non essersi “mai alzato da tavola così contento come in quei venerdì di quaresima in cui non abbiamo mangiato che pane ed acqua”.
Eppure, incredibile a dirsi, in quel ragazzone che scoppia di salute si verifica il crollo della salute in meno di un mese.
Arriva il diabete mellito a minare il suo fisico forte e in appena otto giorni perde 24 chili di peso.
Lo rimandano a casa, malgrado la sua disperazione, dove si riprende in fretta, tanto da poter tornare nella Trappa, ma ormai le sue condizioni di salute sono incompatibili con la vita monastica.
Chiede allora di essere accolto come semplice “oblato”, abitando a fasi alterne nell’infermeria come ospite (difatti papà pagherà per lui una pensione giornaliera), con l’unica ambizione di “vivere la mia vita di infermo nella Trappa con il sorriso sulle labbra”, pienamente convinto che “il mio centro non è la Trappa, né il mondo, né alcuna creatura, ma solo Dio, Dio crocifisso”, offrendo e soffrendo da “oblato infermo e inutile... per i peccati dei miei fratelli, per i sacerdoti, i missionari, per le necessità della chiesa, per i peccati del mondo”.
Arso dalla febbre, divorato da un tormentoso senso di fame e di sete, fra Raffaele muore il 26 aprile 1938, ad appena 27 anni, dopo 19 mesi e 12 giorni di permanenza nella Trappa.
Giovanni Paolo II° lo ha beatificato nel 1992 e i tanti scritti spirituali che ha lasciato fanno oggi di lui uno dei più grandi mistici del XX secolo.

(Autore: Gianpiero Pettiti – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Raffaele Arnaiz Baron, pregate per noi.

*San Simeone di Gerusalemme - Vescovo e Martire (27 Aprile)

sec. I
È il secondo capo della primitiva comunità cristiana di Gerusalemme. Il secondo vescovo, come lo chiama nella sua «Storia ecclesiastica» Eusebio di Cesarea.
Il primo è stato l'apostolo Giacomo di Alfeo, detto il Minore, ucciso nell'anno 63. L'elezione di Simeone è stata riferita da Egesippo, uno dei primissimi scrittori cristiani, forse palestinese, giunto a Roma verso la metà del II secolo.
Secondo Eusebio Simeone è uno dei due discepoli che sulla strada di Emmaus incontrarono il Risorto. Simeone guida l'unica comunità cristiana formata interamente da ebrei, e costretta alla migrazione dopo la distruzione di Gerusalemme. La sua terra di rifugio è Petra di Perea, oltre il Giordano, dove una parte dei profughi fisserà la sua dimora.
Poco sappiamo però della sua opera.
Per lui il tempo della prova arriva con uno degli imperatori romani più illuminati, lo spagnolo Ulpio Traiano, che regna dal 98 al 116. Come i predecessori, considera i cristiani un pericolo per lo Stato, ma vieta le persecuzioni generali. Simeone però viene denunciato da un gruppo di eretici e per questo viene crocifisso. (Avvenire)

Etimologia: Simeone = Dio ha esaudito, dall'ebraico
Emblema: Bastone pastorale, Palma
Martirologio Romano: A Gerusalemme, commemorazione di San Simeone, vescovo e martire, che, secondo la tradizione, fu figlio di Cleofa e parente del Salvatore secondo la carne e, ordinato vescovo a Gerusalemme dopo Giacomo, fratello del Signore, durante la persecuzione dell’imperatore Traiano patì molti supplizi e ormai anziano ottenne la gloriosa corona con il martirio della crocifissione.
É il secondo capo della primitiva comunità cristiana di Gerusalemme. Il secondo vescovo, come lo chiama nella sua Storia ecclesiastica Eusebio di Cesarea. Il primo è stato l’apostolo Giacomo di Alfeo, detto il Minore, ucciso nell’anno 63.
Tuttavia non sembra che Simeone sia stato chiamato subito a succedergli. L’epoca, infatti, è quella del travaglio all’interno delmondo ebraico, che precede la rivolta armata contro il dominio romano.
Segue poi la spietata repressione militare, sotto il comando del futuro imperatore Tito, con la devastazione della Città Santa, e col Tempio saccheggiato e distrutto.
L’elezione di Simeone è stata riferita da Egesippo, uno dei primissimi scrittori cristiani, forse palestinese, giunto a Roma verso la metà del II secolo.
E sulle sue informazioni lo storico Eusebio scrive: «Dopo il martirio di Giacomo e la caduta di Gerusalemme che subito seguì, narra la tradizione che gli apostoli e i discepoli del Signore che erano ancora in vita [...] si unirono ai parenti del Signore (la maggior parte dei quali era ancora in vita a quel tempo) e tennero consiglio tutti insieme per decidere chi giudicare degno di succedere a Giacomo.
All’unanimità tutti designarono vescovo Simeone, figlio di Cleofa che è menzionato nel Vangelo» (Storia ecclesiastica, III,11).
Simeone è dunque figlio di Cleofa; è uno dei due discepoli che sulla strada di Emmaus incontrarono il Risorto, senza dapprima riconoscerlo, come scrive san Luca.
È ritenuto parente di Gesù attraverso la moglie, forse cugina di Maria di Nazareth.
Simeone è dunque chiamato a guidare l’unica comunità cristiana formata interamente da ebrei, e costretta alla migrazione dopo la distruzione di Gerusalemme.
La sua terra di rifugio è Petra di Perea, oltre il Giordano, dove una parte dei profughi fisserà la sua dimora. Lunghissima è la vita di Simeone (si parla di 120 anni), ma della sua opera sappiamo poco.
Al tempo di Vespasiano e Domiziano (padre e fratello di Tito), Roma ordina ricerche sui parenti di Gesù: ma solo perché, insieme ad altri, sono discendenti dalla stirpe di Davide, e per ciò stesso sospetti a chi ora ne occupa il regno.
Ci sono denunce e arresti, ma nulla si dice di Simeone.
Per lui il tempo della prova arriva con uno degli imperatori più illuminati, lo spagnolo Ulpio Traiano, che regna dal 98 al 116.
Come i predecessori, considera i cristiani un pericolo per lo Stato, ma vieta le persecuzioni generali: dovranno essere colpiti solo su regolare denuncia.
E per Simeone la denuncia arriva, forse per opera di eretici, dice Eusebio di Cesarea: «Accusarono Simeone, figlio di Cleofa, di essere discendente di Davide e cristiano: egli subì così il martirio, all’età di 120 anni, sotto Traiano Cesare e il console Attico»: quest’ultimo governava la Giudea e seguì di persona il giudizio e l’esecuzione, meravigliandosi per il coraggio di Simeone nei “molti giorni” delle torture, alle quali seguì la crocifissione.

(Autore: Domenico Agasso – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Simeone di Gerusalemme, pregate per noi.

*San Teodoro - Abate (27 Aprile)

Sec. IV
Martirologio Romano:
A Tabennési nella Tebaide in Egitto, San Teodoro, abate, che fu discepolo di San Pacomio e padre della comunità monastica.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Teodoro, pregate per noi.

*San Teofilo di Brescia - Vescovo (27 Aprile)
Prima metà V sec.

San Teofilo è il decimo vescovo di Brescia. Nella cronotassi ufficiale della diocesi, figura dopo San Paolo I e prima di San Silvino. Si ritiene che il suo governo pastorale sia da collocarsi nella prima metà del Secolo V.
Di questo vescovo non sappiamo nulla, oltre al suo nome e alla sua posizione nella lista dei vescovi bresciani.
É stato sepolto nella basilica gaudenziana.
Oggi i suoi resti si trovano nell’altare delle reliquie della chiesa di San Giovanni.
A ricordo della solenne traslazione dei suoi resti, del 1595, nel libro liturgico diocesano, come è riportato nel libro "I vescovi di Brescia" di Antonio Fappani e Francesco Trovati, si legge che San Teofilo era ricordato dalla vita "di tanta santità risplendette da essere degna della gloria dei santi"
Sul culto tributato a San Teofilo vescovo, sono rimasti ben sette piccoli martirologi bresciani manoscritti, che si riferiscono ai secoli XIII-XV e ben cinque ordini litanici che risalgono ai secoli X-XIV.
Nel martirologio romano e in quello bresciano la sua festa si celebra nel giorno 27 aprile.

(Autore: Mauro Bonato – Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - San Teofilo di Brescia, pregate per noi.

*Beato Umberto di Miribel - Vescovo di Valence (27 Aprile)
m. 27 aprile 1220
Non sappiamo nulla circa la sua origine e giovinezza. Era priore della Certosa di Silve-Bénite (presso Voiron, dipartimento dell'Isère)
allorché, nel 1200, fu nominato vescovo di Valenza.
Dovette subito sostenere una viva opposizione, poiché l'imperatore Federico I, con decreto del 24 novembre 1157, aveva fatto del vescovo di Valence il signore temporale della città, provocando in tal modo le ire dei signori laici che sollevarono gli abitanti contro il nuovo vescovo.
Dopo lunga lotta Umberto finì per imporre la propria giurisdizione, ed ottenne dall'imperatore Federico II un decreto a conferma del precedente.
Il suo episcopato tuttavia fu sempre turbato da conflitti politici.
Morì il 27 aprile 1220.
Gli antichi cataloghi dei vescovi di Valence gli danno il titolo di Beato.
Sembra che in passato abbia avuto culto, oggi però la sua festa non viene più celebrata.

(Autore: Philippe Rouillard – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Umberto di Miribel, pregate per noi.

*Santa Zita (Cita) - Vergine (27 Aprile)

Monsagrati, Lucca, 1218 - 27 aprile 1278
Nacque da una famiglia molto umile.
A 12 anni dovette andare come domestica presso la nobile casa dei Fatinelli, a Lucca.
Attenta e puntigliosa nell'attività lavorativa, sopportava angherie e rimproveri dei padroni, che la trattavano come una «serva».
Inoltre, spesso doveva coprire con il suo impegno le manchevolezze degli altri domestici.
La sua gentilezza d'animo finì per conquistare l'affetto della famiglia che le affidò la direzione della casa.
Ne approfittò per aiutare le persone più povere senza mai sottrarre nulla agli altri. Metteva da parte quanto riusciva a risparmiare per soccorrere le persone bisognose.
Morì il 27 aprile 1272.
La sua fama si diffuse in breve tempo, tanto che i cittadini di Lucca chiesero che venisse sepolta nella Basilica di San Frediano dov'è tuttora custodita.
Il suo culto fu approvato nel 1696 da Papa Innocenzo XII. Venne proclamata patrona delle domestiche da Pio XII. (Avvenire)

Patronato: Casalinghe, Serve, Fornai
Etimologia: Zita = (forse) vergine, dal persiano
Emblema: Chiavi, Giglio
Martirologio Romano: A Lucca, Santa Zita, vergine, che, di umili natali, fu per dodici anni domestica in casa della famiglia Fatinelli e in questo servizio perseverò con straordinaria pazienza fino alla morte.
Lucca, dove Zita esercitò per quasi cinquant'anni l'umile mestiere di domestica, l'ha eletta sua patrona, e già al tempo di Dante, che la cita nella sua Commedia trent'anni dopo la morte, il suo nome era tutt'uno con la città toscana: parlando di un magistrato di Lucca, Dante, o meglio un diavolo nero, si limita a identificarlo come un "anzian di Santa Zita".
Zita, nata nel 1218 a Monsagrati, un paese nei pressi di Lucca, proveniva da povera gente di campagna, le cui fanciulle, per farsi la dote e più spesso per non essere di peso alla famiglia, venivano collocate a servizio presso una famiglia di città.
Prima delle attuali conquiste sociali la professione di domestica equivaleva a una servitù.
Zita, posta a soli dodici anni di età a servizio della famiglia lucchese dei Fatinelli, accettò serenamente la sua condizione sociale, ben consapevole che servendo la famiglia ospitante serviva Dio, per il cui amore agiva, e tollerava ogni sgarbo, sia da parte dei padroni, che dapprima la trattarono con ingiustificata severità, come da parte dei suoi compagni di lavoro, gelosi per il suo zelo e il suo totale disinteresse.
Largheggiava nelle elemosine ai poveri che bussavano alla porta della ricca dimora dei Fatinelli, ma donava del suo, perché viveva con molta parsimonia e il gruzzolo che metteva da parte si
riversava come tanti rigagnoli a irrorare le aride plaghe dell'abbandono e dell'ingiustizia.
Si racconta che una compagna di lavoro, invidiosa della stima che Zita aveva saputo accaparrarsi (superate le prime umilianti prove, le fu affidata la direzione della casa), l'aveva accusata presso il padrone di dare via troppa roba ai poveri.
Infatti un giorno Zita venne sorpresa mentre usciva di casa con il grembiule gonfio per recarsi a visitare una famiglia bisognosa.
Alla domanda del padrone rispose che portava fiori e fronde.
E lasciati liberi i lembi del grembiule, una pioggia di fiori cadde ai suoi piedi.
La sua vita fu tutta un simbolico florilegio di virtù cristiane a riprova che in ogni condizione sociale c'è lo spazio per l'attuazione dei consigli evangelici.
Le sue virtù la imposero mentr'era in vita all'ammirazione di quanti l'avvicinavano e dopo la morte, avvenuta il 27aprile 1278, impressero un moto inarrestabile alla devozione popolare.
La sua tomba nella basilica di San Frediano, che custodisce tuttora il suo corpo, rimasto incorrotto fino all'ultima ricognizione effettuata nel 1652, è sempre stata meta di pellegrinaggi.
Il suo culto fu solennemente approvato il 5 settembre 1696, da Innocenzo XII. Pio XII l'ha proclamata patrona delle domestiche.

(Autore: Piero Bargellini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Zita, pregate per noi.

*Altri Santi del giorno (27 Aprile)
*xxx
Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.

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